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Briciole di rumori nel giardino, quasi mani di bambina.
Quasi rosso senza fine, c’era l’acqua nella gioia o ricordo bene l’amore? L’amore felice ignoto, quasi vuoto
e le vertigini del gioco
che stai per cominciare.

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Come i bambini abbiamo poca vita addosso
      e davanti ai tacchi.
   Come i bambini camminiamo sfiorando muri assolati.
         Noi, come bambini soli,
fummo già grandi.

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Una giacca a vento azzurra dimenticata sul cancello dell’asilo, usato come rete per giocare a palla a volo.
Vista dalla finestra della mia camera a Grosseto.
La vespa parcheggiata sotto casa,
accanto alla macelleria del sor Ferroni.

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Le rondini non ci guardano.
Vedono il cielo cantare alle nostre orecchie.
Le rondini pare non ci parlino,
distratte nel fresco cuore.

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Luca, non ancora sedicenne, che passa tra gli alberi di via della pace con la Vespa Primavera di suo fratello.
Felice. Anch’io.

Gaille della pora Guea, un contadino smesso, un semplice stupefatto di tutto: personaggio immaginario di cui mi parlava Luca.

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Un balcone appare ad ogni canto.

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La casa d'acqua ha per porta l'onda.

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Il tuo non esserci.
Rotondo.
Come mango nero.
Come tango cantato da chi ascolta assorto.
Come lunate labbra per cui sempre ritorno a un bacio.

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Persona di vento.
     Piazza di cielo.
          Anna baciò il suo uomo, come se fosse un libro creduto perso.

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Passerò da lì.
Dove ti ho amata.
Dove le tue braccia rovesciavano la strada.
Ti amerò da lì, dove sei stata.

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Rossa, svagata bellezza
risuona lungo i binari.
I papaveri.

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“Era il tempo dei baci e dell’assalto”, dice Neruda.
O qualcosa del genere.
Il mio cuore ama ancora.
O qualcosa del genere.

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Un po’ di colori in un vetro vuoto, nel vuoto delle scale.
Biglia colorata che saltella fuori dalla porta di casa.

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Pomeriggi di anni a suonare e studiare la chitarra.
Chitarra di pomeriggi passati ad esser presente.
Muta felicità che adesso parla e incanta
per merito di pochi amici ascoltati dal mio parlar di loro.

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Il suo sorridere rovesciava balconi d’arancia.
Lo ricordo bene.

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Biciclette a terra,
La ruota che gira.
“A domani amici, a domani!”
Il cuore, affilato rabarbaro,
chiama “domani” l’atomizzata felicità
di un raggio verde.

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Cara Lorena,

Come dice un uomo che amo “conosci un alternativa a vincere o
perdere?”
Accetto la sfida.
Regalo a noi una sera della mia vita.
Come accade nell’amore il dono non esiste, è desiderio di
qualcosa che non possiedo: il futuro.
La mia vita che mai ho incontrato giacché sono troppo umile per
avere l’arroganza di un santo e abbastanza arrogante per
conoscere l’umiltà di un bestemmiatore.
La bestemmia è la Bellezza incosciente dell’identità scagliata,
come un bacio mai dato, contro il medio di massa.
Che la musica ci culli, quella sera davanti ai nostri tacchi, che mi
faccia tacere sulla meschinità dei non-amanti, dei possessori
della vita e della verità (propria e degli altri!).
Che m’incanti, quella benedetta sera (ben detta da noi uomini e
maledetta dai santi) sulle mani di un bimbo.
Quelle mani che non servono a niente, come la ricerca, come
l’arte, come un sorriso fatto con gli occhi a un bambino di
madre americana e padre iracheno.
Che c’incanti quella sera in cui facemmo l’amore senza volere un
figlio.
Perché l’amore che facemmo era il figlio.
Ci spalancò gli occhi negli occhi, nero nel nero lucente, quel
figlio abbagliante.
Diavolo d’un bimbo.
Maledetto e afinalistico amore.
Detto male il Lucifero.
Appunto. Accetto la sfida,
Un sorriso,
Claudio Riggio

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La rarità cadde nella rete dell'ignavia.
Ma l'ignavia non la vide
dato che la bellezza non si manifesta
a chi vuole estinguerla.

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La voce di un amico arriva sempre da dietro le tue spalle,
quasi fosse memoria d'un portone mai scorto.
Ti volti e non è più suono ma sorriso.
Sei salvo. buon vento,
Claudio Riggio

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Stazione.
Buio lucente di grilli e rossi binari di nebbie.
Sulla panchina in bilico tra le notti e la sbilenca attesa di ignoti assenti.
Fantasma o falena?

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Nessun segno mi dice di te.
Nemmeno i rumori di cui è fatto un giorno.
Gli stessi che ascoltavo, dalla finestra aperta, portarmi tue notizie dal mio cuore.
Le ragazzine sulle scale della chiesa conoscevano tutto quello che accadeva in me,
Come avrebbero potuto, altrimenti, farmi così felice?
Nessun segno mi dice se è un segno da guardare
O un sasso caldo per le ore di giorno addosso.
Fila di panni stesi attorno al sole,
Fantasmini di parole amate in gola e all’aria vicina alle tue orecchie.
Nessun segno mi dice tutto il tuo andar via.
Se ci fosse un segno vorrebbe almeno dire che ci sei.
Mani distratte ritirano panni stesi al sole,
Inciampano in mollette chiassose e colorate.
Il terrazzo sui tetti, quello del nostro silenzio,
E’ vuoto di segni come è vuoto il sole quando non è in cuore.
Ma se guardo le mie dita alternarsi a mollette colorate,
Lungo il filo, mi sembra di vedere cicatrici di felicità.

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Deve essere arrivata da lontano
Questa ripa verde di rose.
Vela di vento, stoffa di seni amati.
Felice, sì felice,
Rammento ciò che sta per accadere:
Stai per guardarmi.

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Nathalie non credeva ai suoi occhi.
Quei begli occhi che le avevano sempre creduto.

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Amare. (come le mandorle)

Ho sentito un pazzo per strada.
Urlava e diceva che la sua vita era la donna che amava.
Non si capiva il nome.
Diceva di portarlo da lei immediatamente,
altrimenti si sarebbe lasciato avvizzire come una ciliegia al sole d’estate.
Ho sentito un pazzo ieri sera.
Piangeva ridendo, perché ricordava cose felici che lo avevano abbandonato.
Ricordava sperando e disperandosi.
Diceva che adesso nulla avrebbe avuto più senso.
Malediceva il giorno in cui le aveva messo gli occhi addosso.
Quel giorno che dava senso a tutta la sua vita. Meridiana di un bacio.
Quell’attimo che piroettava di meraviglia attorno al suo povero cuore.
Cuore di frutta, mangiato e goduto.
Risata forte per la via, di notte, quando il domani è solo un’ipotesi astratta.

Ho visto un pazzo ieri sera, per strada, era disperato come la disperazione.
Ho visto un pazzo stanotte, per strada, era felice come la disperazione di un pazzo.
Ho visto una donna corrergli incontro, per strada, abbracciarlo.
E ho visto un pazzo, allora, per strada.
Era disperato come una donna felice.
Lei urlava e diceva che la sua vita era l’uomo che amava.
Non si capiva il nome.

© 2004 - 2007 Claudio Riggio